mercoledì 29 luglio 2015

LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO: LA BELLEZZA OSCURA DELLA BASSA PADANA NEL CULT HORROR DEL MAESTRO PUPI AVATI


L'affresco di Buono Legnani
Siamo nella profonda provincia ferrarese, in aperta campagna, tra filari di viti, canneti e fiumi acquitrinosi. Una chiesetta, con due punte acuminate sulla cima, spunta in mezzo alle ortiche. All'interno c'è un affresco antico, raffigurante il martirio di San Sebastiano, dipinto vent'anni prima dal pittore naif Buono Legnani, morto suicida qualche tempo più tardi.


Quel piccolo capolavoro deve essere riportato all'antico splendore e per farlo è chiamato in paese il restauratore Stefano (Lino Capolicchio), un bel giovanotto biondo che prima faceva il pittore. Quest'ultimo è accolto dal sindaco Solmi (Bob Tonelli), un ometto piccolo e misterioso che lo accompagna alla pensione della cittadina dove dovrà alloggiare. Dopo essersi sistemato, Stefano incontra un suo vecchio amico, Antonio Mazza (Giulio Pizzirani), che comincia a raccontargli strane storie sul pittore scomparso. Antonio gli dice anche che, non lontano dalla chiesetta dove sta restaurando l'affresco, c'è un casolare abbandonato con bizzarre finestre "che ridono". Stefano si reca alla chiesetta per cominciare i lavori, incontra Don Orsi (Eugene Walter), il parroco del luogo, un simpatico vecchietto che gli confida di non essere affatto entusiasta del restauro. In cattedrale conosce anche il factotum del paese, Lidio (Pietro Brambilla), un ragazzo con la mente di un bambino.


La villa patrizia e la paralitica
Mentre il restauro dell'affresco procede, Stefano riceve inquietanti telefonate: una voce femminile roca e minacciosa lo invita ad andarsene dal paesino e a sospendere immediatamente i lavori. Passeggiando per le stradine del centro, Stefano assiste alla morte dell'amico Antonio che precipita da un balcone e si sfracella proprio accanto ai suoi piedi. Il maresciallo del luogo (Ferdinando Orlandi) è convinto che si tratti di suicidio, ma Stefano la pensa diversamente perché ha notato l'ombra di uno sconosciuto dileguarsi sul balcone maledetto. Un giorno Stefano è costretto a trasferirsi perché alla pensione non c'è più posto: Lidio lo accompagna in un'antica villa patrizia, ubicata poco fuori dal paesino, di proprietà della signora Laura (Pina Borioni), un'anziana paralitica che non può muoversi dal letto.


Stefano si sistema al pianterreno, ma di notte sente strani rumori e non riesce a riposare bene. Il giorno successivo si reca al piano superiore nella camera della vecchina e le chiede spiegazioni. La donna, un'esile figurina vestita di bianco con la pelle del viso raggrinzita, dice a Stefano di non essersi mossa dal suo letto e di essere felice del suo arrivo. Girovagando nella villa, Stefano trova in soffitta un vecchio registratore e dopo averlo azionato sente la voce di un uomo: dai vaneggiamenti folli incisi sul nastro, Stefano si convince che quella voce appartenga al pittore Buono Legnani. 
                 

Le sorelle sanguinarie 
In un clima di tensione crescente, oppresso dalle telefonate anonime e perseguitato da ombre sguscianti, Stefano trova conforto nella passione per una giovane supplente, Francesca (Francesca Marciano). Alla chiesetta, nel frattempo, il restauro è terminato con una scoperta sorprendente: ai due lati del santo martirizzato, figurano le teste orrende di due donne urlanti. Don Orsi non comprende il senso della rappresentazione, mentre Stefano decide di andare avanti con le sue indagini, soprattutto dopo il ritrovamento in un armadio di un vecchio faldone. Stefano scopre che il Legnani aveva due sorelle, con le quali era emigrato a Rio de Janeiro negli anni Venti, dove pareva avesse iniziato a dedicarsi a pratiche e riti occulti. 


Una fotografia in bianco e nero raffigurante due donne bruttine e sorridenti spunta dalle pagine ingiallite del faldone: sono le sorelle del pittore. L'unico abitante del paesino che si offre di aiutarlo è l'autista Coppola (Gianni Cavina), un ubriacone rissoso che sembra custodire molti segreti. E' Coppola a confermare a Stefano l'esistenza delle perfide sorelle di Buono Legnani, due sordide donnine dedite a riti occulti e a pratiche incestuose che in passato tentarono di ucciderlo. Coppola porta Stefano alla casa "dalle finestre che ridono" e gli mostra i poveri resti delle vittime delle sorelle del pittore.


Sotto formalina       
Sconvolto da quello che ha appena visto, Stefano fa ritorno alla villa, deciso a lasciare per sempre il paesino maledetto insieme a Francesca. Della bella insegnante non c'è alcuna traccia: un'ombra si allunga sulle scale della soffitta, Stefano si precipita e scopre con orrore il corpo martoriato della giovane donna appeso ad un gancio. Tutto è perduto, Stefano raggiunge Coppola in giardino, ma anche l'uomo è misteriosamente scomparso. Con il sidecar si avvia alla caserma dei carabinieri, ma quando ritorna alla villa con i rinforzi, il cadavere è svanito nel nulla, non c'è più una goccia di sangue e anche l'ossario al casolare abbandonato è sparito. Dopo il rinvenimento del corpo di Coppola nel fiume, il maresciallo accompagna Stefano alla pensione da dove partirà l'indomani, ma nel cuore della notte il giovane riceve l'ennesima telefonata anonima: la voce tremante di una donna, sembra essere quella di Francesca, lo supplica di aiutarla. Stefano si precipita alla villa, sente provenire dei rumori dalla soffitta e sale a controllare: due vecchiette, vestite con un lungo camice bianco e una cuffia, stanno compiendo un massacro sotto i suoi occhi terrorizzati. 


E' il corpo di Lidio ad essere martirizzato stavolta e una delle vecchine, che Stefano riconosce immediatamente come la signora Laura, lo prega di seguirla per mostrargli qualcosa di terrificante: in un vecchio armadio, conservato sotto formalina all'interno di una teca, è il cadavere mummificato del pittore Buono Legnani. Le due sorelle sanguinarie gli procurano cadaveri per consentirgli di dipingere ancora. Stefano è ferito gravemente con un coltellaccio da una delle vecchine, che non vede bene in volto, ma riesce a scappare in giardino e poi a nascondersi nella boscaglia. L'indomani, sanguinante e semi-incosciente, si reca invano al paesino in cerca d'aiuto e poi alla chiesetta di Don Orsi. Il parroco lo accoglie sul sagrato e lo porta in sagrestia: qui comincia a prepararsi per la messa e si toglie la tonaca, rivelando il camice bianco imbrattato di sangue e una mammella penzolante e avvizzita. Dietro una tenda sbuca l'altra sorella, Stefano è paralizzato dalla paura. Vediamo la facciata della chiesetta che sbuca in mezzo alle ortiche, con due diaboliche punte acuminate sulla cima e sentiamo le sirene spiegate delle volanti.   

     
 Commento              
La casa dalle finestre che ridono, diretto nel 1976 dal maestro Pupi Avati (Balsamus, l'uomo di Satana, 1970; Thomas e gli indemoniati, 1970; Tutti defunti... tranne i morti, 1977; Zeder, 1983; L'amico d'infanzia, 1994; L'arcano incantatore, 1996; Il nascondiglio, 2007), non è soltanto un film dell'orrore. E' un giallo sorprendente, luminoso come la luce accecante della bassa padana arsa dal sole e oscuro come i vicoli male illuminati del paesino del ferrarese. E' torbido, come le acque del fiume che zigzaga attraverso la campagna, è diabolico come le punte acuminate che spuntano sulla cima della chiesetta di Don Orsi, è sordido come la lucida follia della paralitica Laura che afferra il coltellaccio e sevizia Lidio. E' appassionato, come lo sguardo di Stefano che fissa Francesca di nascosto, è spettrale come le ombre viscide che si allungano sui muri della villa patrizia, è raccapricciante come le lacerazioni grondanti sangue sui corpi delle vittime. Il soggetto, curato da Pupi e Antonio Avati, è ispirato ad un fatto inquietante che accadde durante la guerra in un paesino del ferrarese dove il regista abitava insieme alla famiglia: un bombardamento scoperchiò la bara del parroco e dai resti scheletriti fu appurato che si trattava di una donna.


La sceneggiatura è scritta a quattro mani da Pupi e Antonio Avati, Gianni Cavina (il Coppola del film) e Maurizio Costanzo. Entriamo subito nel vivo dell'azione, del piano criminoso delle sorelle mefitiche: un giovane uomo, appeso ad un gancio, urla e si dibatte mentre due figure vestite di bianco affondano lame affilate nelle sue povere carni. In sottofondo il delirio di onnipotenza di Buono Legnani, inciso su nastro: "I colori...i miei colori. Escono dalle mie vene!". Stiamo assistendo a quel "sacrificio umano allo scopo di restare in contatto con i defunti", cui farà riferimento il giovane restauratore dopo il ritrovamento del faldone. Il delitto è già sotto i nostri occhi, ancora prima di addentrarci nella storia e di conoscerne i personaggi, come nel più nero dei noir. Stefano è un pittore fallito che si improvvisa detective, perché sente che quella storia "è la sua", perché vuole in qualche modo vendicare la morte dell'amico Antonio, perché è mosso dal sacro fuoco della ricerca della verità, contro tutto e tutti.


Ha più spirito d'osservazione di chi dovrebbe indagare perché lo richiede la professione (il maresciallo), è solo un "forestiero" ma, a differenza di tutti gli altri (gli abitanti del villaggio), vuole scavare a fondo per tentare di fermare la catena di omicidi. E' il cavaliere dall'armatura splendente che però non riesce a salvare la fanciulla (Francesca) perché la sua sete di sapere è bruciante. Stefano, alla fine della sua discesa nell'orrore della provincia ferrarese, trova gli scheletri negli armadi dei residenti, sonnacchiosi, omertosi, ambigui, portando a galla storie vecchie e sepolte e obbligandoli finalmente a guardare in faccia la verità. La fotografia di Pasquale Rachini, abbagliante e tenebrosa al contempo, si sposa alla perfezione con l'atmosfera gotica che pervade la narrazione: la villa patrizia delle sorelle Legnani con i suoi anfratti, i corridoi in penombra, le scalinate malandate, la soffitta polverosa, il parco semi-abbandonato che circonda la dimora; il casolare abbandonato dove le assassine occultano i poveri resti delle vittime; il paesino del ferrarrese scandito dalla dicotomia luce/ombra (le stradine soleggiate durante le ore diurne e i vicoli bui avvolti dalla nebbia durante la notte). 


Per quanto riguarda la tecnica, degne di nota sono le "soggettive dell'assassino" (Stefano è perennemente spiato da occhi invisibili mentre compie le sue indagini), il dettaglio di mani sconosciute che spostano tendine, afferrano oggetti, compiono azioni delittuose, i flashback onirici virati al seppia che mostrano la storia della famiglia Legnani e del pittore maledetto. Notevole la colonna sonora di Amedeo Tommasi, romantica e sdolcinata, in grado di creare un forte contrappunto con la violenza e l'orrore delle immagini. Il finale sospeso è ineguagliabile: il grembiule insanguinato e la mammella cadente di Don Orsi, Laura Legnani che sbuca da una tenda, la smorfia di terrore sul volto di Stefano, il totale della chiesa con le punte diaboliche, le volanti in sottofondo e l'ombra di una mano contro il fusto di un albero. I carabinieri, avvisati da Solmi, sono riusciti a salvare Stefano dalla lucida follia delle sorelle sanguinarie? Una cosa è certa: le Legnani hanno finito di insozzare il paesino con i loro riti e le loro menzogne.   





        






               

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