lunedì 22 dicembre 2014

THE EYE 2: UN HORROR SOPRANNATURALE SULLA REINCARNAZIONE DELLE ANIME



Joey Cheng (Shu Qi) è una bella ragazza cinese che lavora in uno studio fotografico. Dopo essere stata lasciata dal fidanzato Sam (Jesdaporn Pholdee), Joey fa shopping compulsivo in un centro commerciale e tenta il suicidio in una camera d'albergo vuotando una boccetta di sonniferi. In bilico tra la vita e la morte, la giovane donna riesce a distinguere intorno al suo letto misteriosi ed inquietanti visitatori.


Salvata sul filo del rasoio dal personale dell'hotel, Joey si risveglia in ospedale dove giura a sé stessa che non cercherà mai più di farsi del male: di fatto si trasferisce ad Hong Kong per cominciare una nuova esistenza. Dopo essersi slogata l'avambraccio per via di una caduta accidentale dalla vasca da bagno, Joey scopre con stupore di essere incinta e contemporaneamente si moltiplicano le agghiaccianti visioni di spettri galleggianti. A perseguitarla è, in maniera particolare, lo spirito di una giovane donna cinese dai lunghi capelli neri e dallo sguardo malinconico, Yuen Chi-Kei (Eugenia Yuan). Alla ricerca di una spiegazione e decisa a portare avanti la gravidanza nella maniera più serena possibile, Joey si rivolge ad un monaco buddista (Philip Kwok): il fantasma che la sta perseguitando desidera, in realtà, reincarnarsi nel corpo del bambino che porta in grembo. Joey dovrà lottare con tutte le sue forze per impedire allo spirito malefico di penetrare nella sua pancia e possedere il suo bambino...


Commento
The Eye 2, diretto nel 2004 dai fratelli Pang (The Eye, 2000; The Eye Infinity, 2005; The Messengers, 2007), è suddiviso in tre inquietanti capitoli: Hong Kong – Primo mese, Terzo mese, Ottavo mese. Tre specifiche fasi della gravidanza che corrispondono ad altrettante differenti emozioni: la gioia della scoperta; l'amore per la vita che cresce in grembo; l'attesa della nascita. La gravidanza della protagonista, invece, è scandita suo malgrado da un unico terribile sentimento: la paura.


Le doti extrasensoriali di Joey, conseguenza della sua vicinanza al regno dell'oltretomba (sia pure per pochi minuti), costringono i suoi occhi a vedere le anime dei defunti che si aggirano in mezzo ai vivi con un solo scopo: reincarnarsi. Il terrore della futura mammina schizza alle stelle, giorno dopo giorno, mese dopo mese, parallelamente al moltiplicarsi delle visioni soprannaturali: anziani dal volto cadaverico che le siedono accanto in taxi; storpi sorretti da stampelle che si riflettono in uno specchio e che si dileguano con la stessa rapidità con cui si sono materializzati; giovani donne che fluttuano a testa in giù cercando di infilarsi nel grembo di una mamma in procinto di partorire.


Presenze silenziose e terrificanti che fanno letteralmente saltare dalla sedia lo spettatore (nella sconcertante locandina, che riproduce l'immagine di un neonato rannicchiato nell'utero materno, il film è fortemente sconsigliato alle donne incinte e ai deboli di cuore) e che rimandano al precedente The Eye (impossibile non pensare ad una delle scene più paurose nella storia della cinematografia horror internazionale: l'apparizione/discesa del fantasma di un anziano all'interno dell'ascensore alle spalle di una Mun/Angelica Lee paralizzata dal terrore). 


Inquietanti “soggettive dell'assassino” (in questo caso “soggettive dello spettro”), carrelli a seguire e inquadrature dall'alto restituiscono la sensazione di una minaccia imminente che aleggia alle spalle o intorno alla protagonista. Non mancano nemmeno momenti decisamente splatter: all'interno dell'ascensore della clinica (quando Joey, ricoverata per un'emorragia al feto, assiste ad un tentativo di reincarnazione da parte di un fantasma che cerca di insinuarsi nel grembo di una donna che sta per partorire); alla fermata dell'autobus (quando Joey, di ritorno dalla clinica, vede i cadaveri insanguinati di una madre e del suo bambino precipitare dall'alto e spiaccicarsi sull'asfalto); sulle scale di servizio della clinica (quando Joey, animata da propositi autodistruttivi, cerca di salire sul tetto dell'edificio lasciandosi dietro una vistosa scia di sangue).


Il buddismo, con la filosofia sulla reincarnazione delle anime, è il vero fil rouge che lega come un puzzle i tasselli della vicenda: all'inizio della pellicola, un gruppo di monaci con l'abituale saio arancione e il capo rasato vengono chiamati per scacciare i fantasmi che infestano la camera dove alloggiava Joey. Il religioso a cui Joey si rivolge per risolvere la drammatica situazione che sta vivendo le spiega che la vita umana è caratterizzata da un ciclo continuo: si vive, si soffre, si muore e si ricomincia a vivere.

Scioccante il finale che ricorda una scena analoga di Rosemary's Baby – Nastro rosso a New York (1968) di Roman Polański: un'infermiera chiede alla neo-mamma se se la sente di tenere in braccio e allattare il suo bambino, Joey afferra il neonato e, dopo la riluttanza iniziale, comincia a guardarlo con gli occhi di una madre innamorata della sua creatura. Più tardi Joey fa una passeggiata nel corridoio del reparto maternità della clinica, osserva i neonati nel nido e un gruppo di donne che fa ginnastica pre-parto all'interno di una palestra: accanto a ciascuna di esse, un'anima silenziosa e paziente attende con trepidazione l'arrivo del prossimo nascituro.













































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