martedì 16 dicembre 2014

THE ORPHANAGE: I MISTERI DEL "BUON PASTORE"


Addio "Buon Pastore"
Nubi sinistre coprono il cielo. Uno spiraglio di sole illumina una radura dove risuonano voci di bambini. All'ombra di un albero gigantesco una bambina piccola piccola, con la coda di cavallo, gioca a "Un due tre...tocca la parete". Dietro di lei un enorme palazzo gotico. Cinque ragazzini si avvicinano sempre più alla bambina, evitando di farsi notare mentre avanzano silenziosamente. Finalmente uno la raggiunge e le tocca la spalla con la manina. Una risatina di gioia risuona nel parco, i bambini giocano e si rincorrono tra il bucato steso ad asciugare e uno spaventapasseri con gli occhi cerchiati di nero.


Il trillo di un ricevitore ci catapulta all'interno dell'edificio, una donna di spalle alza la cornetta ed esclama: «Orfanotrofio Buon Pastore». D'un tratto sappiamo che quei bambini, dall'aria spensierata, sono tutt'altro che felici: poveri orfanelli chiusi in orfanotrofio, in attesa forse di una mamma e di un papà. «Lei non sa niente. Sta giocando», esordisce la donna al telefono mentre apre un fascicolo: apprendiamo in quel momento che una delle bambine, la piccola Laura, sta per essere adottata, lasciando per sempre i suoi compagni di sventura. La donna riaggancia e lentamente si avvicina alla porta d'ingresso: la spalanca lasciando entrare la luce del mattino e le risate dei piccoli ospiti. Dagli scalini di pietra osserva i bambini che giocano nel parco: «Ti mancheranno tanto i tuoi compagni, piccola Laura». Un suono metallico, simile ad un sibilo sinistro e penetrante, si insinua tra i bambini che corrono e schiamazzano, lasciando presagire qualcosa di malvagio e impalpabile.


I titoli di testa: il mistero della carta da parati
Una carta da parati a motivi floreali. L'ombra di una mano, un braccio esile, probabilmente quello di un bambino, si allunga sulla parete e una manina, stavolta in carne e ossa, afferra la carta che la ricopre e la strappa via. Il nome del produttore campeggia sulla lacerazione: Guillermo Del Toro. Ancora carta da parati, lacerata da crepe e solchi profondi. Ancora un braccio e una mano che strappa via la carta lasciando affiorare altri nomi. Davvero insoliti e originali i titoli di testa del film: è possibile comprendere il perché di questa scelta solo alla fine, quando la verità affiora, alla stregua dei nomi che campeggiano nei titoli stessi. Torneremo sull'argomento più avanti.


Il faro dalla luce invisibile
Nero. Il grido di un bambino nella notte: «Mamma, mamma». Una sagoma si materializza sotto un lenzuolo a righe, alla stregua di un fantasma lattiginoso. Mentre il lenzuolo si solleva e scivola via, vediamo fare capolino sotto di esso una giovane donna (Belén Rueda), con lo sguardo assonnato e la capigliatura chiara, che fa per alzarsi. Al suo fianco, all'altro capo del letto matrimoniale, un uomo (Fernando Cayo) si rigira, farfugliando qualcosa. La donna esce dalla stanza, percorre un corridoio ed entra in una cameretta con un grande quadro in bianco e nero. Un bambino di nome Simòn (Roger Prìncep) fuoriesce da sotto un lenzuolo ed esclama: «Li hai sentiti? Non riesco a dormire perché fanno baccano là fuori». La donna si avvicina al bambino, dai grandi occhi marroni e i ricci ribelli, gli rimbocca le coperte, poi va alla finestra che spalanca con decisione: «Forza Watson e Pelby, entrate. E' ora di andare a nanna». Simòn ha due amichetti immaginari che non lo lasciano riposare in pace perché hanno il vizio di giocare di notte nel cortile, proprio sotto la finestra della sua cameretta. Il piccolo chiede alla madre se le era mai capitato di avere paura quando era una bambina e viveva in quella casa (dunque la donna dalla capigliatura chiara altri non è che Laura). La donna si avvicina al bambino, gli mostra la luce invisibile del faro che si intravede dalla finestra (creando un riflesso con il vetro dell'orologio) e lo tranquillizza dicendogli che quel raggio luminoso proteggeva lei e tutti gli altri bambini da ogni genere di pericolo. Simòn spalanca gli occhioni e chiede alla mamma se può dormire nel lettone, almeno per quella notte. Laura non può fare altro che dirgli: «Sei proprio un furbacchione!». Simòn sorride e guarda la mamma finalmente rincuorato.


"E' la S di Simòn!"
E' una bellissima giornata di sole. Alla villa fervono i preparativi per l'apertura di una casa-famiglia per bambini disagiati: Laura si dirige nel salone dove il marito Carlos è intento a suonare il pianoforte. Si siede accanto a lui e comincia a schiacciare le dita sui tasti. Al suono di una deliziosa melodia arriva il piccolo Simòn con indosso una curiosa tuta da supereroe: una "S" gigantesca campeggia sulla pancia del bambino. Il piccolo chiede al padre di accompagnare lui e la madre in spiaggia perché i suoi amichetti non si sono ancora svegliati, vinti dalla stanchezza dopo la bisboccia della sera precedente. L'uomo dice a Simòn di prendere la pillola: il bambino allunga la manina sul pianoforte, dove afferra un grande bicchiere di aranciata che butta giù insieme ad una pasticca. Dopo aver bevuto il succo, il piccolo esclama festoso: «E' la "S" di Simòn!» e con il ditino indica la lettera stampata sulla maglietta. Laura tranquillizza il bambino dicendogli che il papà li avrebbe raggiunti più tardi sulla spiaggia. Simòn corre di fretta e furia a prepararsi.


La caverna del pirata
Laura e Simòn percorrono il grande viale sterrato che porta alla spiaggia: la madre racconta al bambino di un pirata che nascose i suoi tesori in una caverna in riva al mare. Giunti sulla spiaggia Simòn chiede alla madre il permesso di visitare la caverna del pirata: armato di torcia il bambino penetra nella grotta e dopo aver attraversato alcuni anfratti giunge alla fine del cunicolo. D'un tratto Simòn si immobilizza: con la sua torcia deve aver illuminato qualcosa che cattura la sua attenzione. «Ciao!», esclama Simòn e l'eco della sua voce rimbomba nella caverna silenziosa e spettrale. Intanto Laura, che è rimasta all'esterno della grotta, inganna il tempo raccogliendo conchiglie: dopo aver riempito il secchiello fino all'orlo, decide di entrare per chiamare il bambino. Facendosi luce con la torcia, arriva alla fine del cunicolo dove scorge Simòn intento a chiacchierare con qualcuno che non riesce a vedere perché coperto da una parete rocciosa. «Vuoi venire a giocare più tardi a casa mia? Ciao, ti aspetto» esclama il piccolo Simòn mentre tende la manina in segno di saluto. Laura chiede al bambino con chi stia parlando e quando Simòn gli dice che non si tratta di Watson e Pelby ma di un altro amichetto, la donna va a fare luce con la torcia dietro la parete rocciosa, per vedere se vi fosse qualcuno per davvero. Non avendo trovato alcunché, Laura e Simòn si dirigono fuori dalla caverna e poi lungo il sentiero sterrato in compagnia del padre che nel frattempo li ha raggiunti. «Perché butti via le conchiglie Simòn?» esclama il papà, non riuscendo proprio a capire il motivo per cui il bambino sta svuotando il secchiello. «Indico la strada al mio amichetto, così può venire a giocare da noi, più tardi», risponde il piccolo intento a gettare conchiglie sul sentiero. Papà e mamma non danno alcun peso a quelle parole e continuano a parlottare tra di loro, mentre Simòn dietro di loro cerca di tenere il passo seminando conchiglie, alla stregua di molliche di pane.      



L'arrivo di Benigna Escobedo
Una pioggia torrenziale si abbatte sulla villa. Laura, dopo aver sentito il rombo di un motore, va ad affacciarsi alla finestra: un'automobile blu, con il tettuccio grigio, si è fermata di fronte all'ingresso principale. Una donna (Montserrat Carulla), che vediamo di spalle, bussa insistentemente alla porta: indossa una giacca celestina e un foulard bianco che le fascia il capo. Laura va ad aprire e si trova di fronte una signora anziana, con gli occhiali, che dice di chiamarsi Benigna Escobedo e di essere un'assistente sociale. Benigna si scusa per essersi presentata senza telefonare, ma dice di non essere riuscita a trovare il numero. «Mi dispiace per il suo viaggio a vuoto signora Escobedo, ma non avevo in programma colloqui per oggi» esordisce Laura con fermezza. «Sono venuta per parlare del piccolo Simòn», esclama senza mezzi termini la vecchia signora. Il volto grazioso e disteso di Laura si contrae in una piccola smorfia, poi fa accomodare Benigna in casa. Nel salone della villa, una grande sala arredata in stile vittoriano, le due donne, sedute l'una di fronte all'altra, cominciano a discutere della casa-famiglia che Laura sta per inaugurare. Benigna forse nasconde un segreto e lo si può intuire dalla sua immagine che si riflette nello specchio rettangolare che campeggia sul caminetto. «Intendete apportare molti cambiamenti alla villa?», domanda l'anziana assistente sociale. Laura alza le spalle e prega Benigna di spiegarle il vero motivo della sua visita. A quel punto Benigna le porge alcuni fascicoli che ha tirato fuori da una cartellina azzurra: «Questo lo sappiamo già da tempo», esordisce Laura mentre osserva con amarezza i fogli che ha tra le mani. Benigna non si perde d'animo e comincia a parlare di una cura sperimentale che potrebbe giovare alla salute del bambino. «Simòn non sa nulla dell'adozione e della sua malattia, perciò non voglio continuare a parlarne perché potrebbe sentirci. Inoltre non ho alcuna intenzione di discutere di certe cose senza la presenza di mio marito» sbotta Laura e in un nano secondo mette Benigna alla porta. Finalmente sola, Laura riapre la cartellina azzurra e legge ad alta voce le frasi "cambio di residenza" e "portatore di sieropositività". Senza pensarci due volte, corre in cucina per infilare la cartellina azzurra e il suo contenuto in un cassetto che chiude opportunamente a chiave. Simòn è in camera sua e sta colorando freneticamente alcune figure disegnate a matita su un foglio bianco: Laura lo osserva, senza farsi vedere, attraverso la porta semichiusa della sua cameretta, forse per accertarsi che il bambino non si sia accorto dell'arrivo improvviso della signora Escobedo.  


Il capanno degli attrezzi
Quella notte uno strano rumore tormenta il sonno di Laura. Si rigira nel letto nervosamente, poi si mette a sedere e tende l'orecchio: è un suono metallico che si ripete a intervalli regolari e che sembra provenire dal cortile. Dopo aver tentato senza successo di avvisare il marito, Laura decide che è meglio scendere giù a controllare. Infilata la veste da camera, si precipita nel giardino: è dal capanno degli attrezzi che giunge quel rumore. Possibile che qualcuno si sia introdotto lì dentro e a quale scopo? - sembra pensare Laura mentre si avvicina lentamente a quel bugigattolo di legno. «C' è qualcuno lì?» - esclama Laura timorosa e all'improvviso il suono metallico s'interrompe. Si sente però la vecchia porta del capanno che cigola sotto i cardini arrugginiti: dopo averla spalancata ed essersi introdotta all'interno, Laura si guarda intorno smarrita trovando soltanto mucchi polverosi di cianfrusaglie accatastate. All'improvviso un vento gelido la fa trasalire, si aggiusta bene la vestaglia, fa qualche timido passo in avanti e in quel momento, nella semioscurità del capanno, una vecchia con un arnese tra le mani le compare dietro le spalle. Laura si gira all'improvviso dopo aver sentito un rumore e vede distintamente Benigna Escobedo con lo sguardo spiritato e gli occhi fuori dalle orbite raggomitolata in un angolo. «Che cosa ci fa lei qui?» domanda Laura impietrita dalla paura. La vecchia non apre bocca, si tira fuori dal suo nascondiglio, passa davanti a Laura e si avvia verso l'uscita. Quando Laura esce dal capanno, fa appena in tempo a vedere Benigna scomparire nella boscaglia, con la sua giacca celestina, i capelli bianchi raccolti in uno chignon e la schiena piegata sotto il peso dell'attrezzo che regge tra le mani. Laura si precipita in camera da letto a svegliare il marito: tornano insieme nel capanno, frugano in ogni angolo del giardino, ma di Benigna Escobedo non c'è più nemmeno l'ombra. Volatilizzata come un fantasma! «Vuoi spaccare la testa alla vecchiaccia con quel bastone?» domanda Carlos divertito, mentre Laura sia aggira guardinga nei pressi della casupola, le mani serrate intorno ad un pezzo di legno. Carlos toglie il bastone dalle mani della moglie e dopo averlo buttato via la stringe a sé e le sussurra dolcemente: «Vai a dormire con Simòn. Se dovesse ritornare, chiamiamo la polizia».  


Commento
The Orphanage, diretto da Juan Antonio Bayona (The Impossible, 2012) nel 2007 e prodotto dall'inimitabile Guillermo Del Toro (Mimic, 1997; La spina del diavolo, 2001; Il labirinto del fauno, 2006), è davvero un piccolo gioiello. I misteri dell'orfanotrofio "Buon Pastore" si addensano davanti allo sguardo sbigottito dello spettatore fin dal principio, fin dai titoli di testa: una manina piccola ed esile strappa con decisione la carta da parati, rivelando un buco nero su cui compare il nome del produttore. E' evidente che il mistero è celato "sotto qualcosa" e il film lo suggerisce fin dall'inizio. In una cornice gotica inquietante ed onirica (una vecchia casa da ristrutturare, un parco enorme che circonda la dimora, la spiaggia con la caverna del pirata e il faro invisibile che veglia sui bambini che hanno paura del buio, il sotterraneo/stanza segreta di un bimbo dimenticato e il capanno degli attrezzi che custodisce un segreto) si muovono personaggi ancora più sinistri come Benigna Escobedo, presunta assistente sociale con un passato oscuro.



Come Tomàs, bambino immaginario/fantasma intravisto per la prima volta da Simòn nella caverna del pirata che raccoglierà le conchiglie seminate dal ragazzino e le accumulerà davanti alla porta di casa. Come i piccoli ospiti dell'orfanotrofio di cui si sono perse le tracce molti anni prima e dei quali si continuano a sentire le voci nei meandri del "Buon Pastore". E poi c'è Laura, madre lacerata dalla scomparsa improvvisa e inspiegabile del figlioletto adorato, una madre che dovrà lottare con tutte le sue forze per scoprire una duplice verità sepolta sotto le travi della sua casa...Molteplici sono i misteri celati dall'orfanotrofio, proprio come le domande che alla fine del film restano senza risposta: come fa Simòn ad entrare nella stanza segreta di Tomàs senza il pomello della porta (che il bambino stesso nasconde in una scatola prima di sparire)? Dove ha trovato il pomello della porta? E' evidente che per entrare (come farà Laura alla fine del film) è necessario strappare la carta da parati e inserire il pomello, ma la porta segreta viene trovata con la carta da parati intatta...E' possibile che Simòn, in una delle numerose esplorazioni della casa (che il bambino dimostra di conoscere come le sue tasche durante il gioco della caccia al tesoro), sia riuscito a trovare un altro ingresso? Difficile trovare una soluzione, forse Bayona e lo sceneggiatore Sergio G. Sànchez hanno voluto lasciare di proposito un alone di mistero sul "Buon Pastore".


  




             

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