Addio "Buon Pastore"
Nubi sinistre coprono il cielo. Uno spiraglio di sole illumina una
radura dove risuonano voci di bambini. All'ombra di un albero
gigantesco una bambina piccola piccola, con la coda di cavallo, gioca
a "Un due tre...tocca
la parete".
Dietro di lei un enorme palazzo gotico. Cinque ragazzini si
avvicinano sempre più alla bambina, evitando di farsi notare mentre
avanzano silenziosamente. Finalmente uno la raggiunge e le tocca la
spalla con la manina. Una risatina di gioia risuona nel parco, i
bambini giocano e si rincorrono tra il bucato steso ad asciugare e
uno spaventapasseri con gli occhi cerchiati di nero.
Il trillo di un
ricevitore ci catapulta all'interno dell'edificio, una donna di
spalle alza la cornetta ed esclama: «Orfanotrofio
Buon Pastore». D'un
tratto sappiamo che quei bambini, dall'aria spensierata, sono
tutt'altro che felici: poveri orfanelli chiusi in orfanotrofio, in
attesa forse di una mamma e di un papà. «Lei
non sa niente. Sta giocando»,
esordisce la donna al telefono mentre apre un fascicolo: apprendiamo
in quel momento che una delle bambine, la piccola Laura, sta per
essere adottata, lasciando per sempre i suoi compagni di sventura. La
donna riaggancia e lentamente si avvicina alla porta d'ingresso: la
spalanca lasciando entrare la luce del mattino e le risate dei
piccoli ospiti. Dagli scalini di pietra osserva i bambini che giocano
nel parco: «Ti mancheranno tanto i tuoi compagni, piccola Laura».
Un suono metallico, simile ad un sibilo sinistro e penetrante, si
insinua tra i bambini che corrono e schiamazzano, lasciando presagire
qualcosa di malvagio e impalpabile.
I
titoli di testa: il mistero della carta da parati
Una carta da parati a motivi
floreali. L'ombra di una mano, un braccio esile, probabilmente quello
di un bambino, si allunga sulla parete e una manina, stavolta in
carne e ossa, afferra la carta che la ricopre e la strappa via. Il
nome del produttore campeggia sulla lacerazione: Guillermo Del Toro.
Ancora carta da parati, lacerata da crepe e solchi profondi. Ancora
un braccio e una mano che strappa via la carta lasciando affiorare
altri nomi. Davvero insoliti e originali i titoli di testa del film:
è possibile comprendere il perché di questa scelta solo alla fine,
quando la verità affiora, alla stregua dei nomi che campeggiano nei
titoli stessi. Torneremo sull'argomento più avanti.
Il
faro dalla luce invisibile
Nero. Il grido di un bambino nella notte: «Mamma, mamma». Una sagoma si materializza sotto un
lenzuolo a righe, alla stregua di un fantasma lattiginoso. Mentre il
lenzuolo si solleva e scivola via, vediamo fare capolino sotto di
esso una giovane donna (Belén Rueda), con lo sguardo assonnato e la capigliatura
chiara, che fa per alzarsi. Al suo fianco, all'altro capo del letto
matrimoniale, un uomo (Fernando Cayo) si rigira, farfugliando qualcosa. La donna esce
dalla stanza, percorre un corridoio ed entra in una cameretta con un
grande quadro in bianco e nero. Un bambino di nome Simòn (Roger Prìncep) fuoriesce
da sotto un lenzuolo ed esclama: «Li hai sentiti? Non riesco a
dormire perché fanno baccano là fuori». La donna si avvicina al
bambino, dai grandi occhi marroni e i ricci ribelli, gli rimbocca le
coperte, poi va alla finestra che spalanca con decisione: «Forza
Watson e Pelby, entrate. E' ora di andare a nanna». Simòn ha due
amichetti immaginari che non lo lasciano riposare in pace perché
hanno il vizio di giocare di notte nel cortile, proprio sotto la
finestra della sua cameretta. Il piccolo chiede alla madre se le era
mai capitato di avere paura quando era una bambina e viveva in quella
casa (dunque la donna dalla capigliatura chiara altri non è che
Laura). La donna si avvicina al bambino, gli mostra la luce
invisibile del faro che si intravede dalla finestra (creando un
riflesso con il vetro dell'orologio) e lo tranquillizza dicendogli
che quel raggio luminoso proteggeva lei e tutti gli altri bambini da
ogni genere di pericolo. Simòn spalanca gli occhioni e chiede alla
mamma se può dormire nel lettone, almeno per quella notte. Laura non
può fare altro che dirgli: «Sei proprio un furbacchione!». Simòn
sorride e guarda la mamma finalmente rincuorato.
"E'
la S di Simòn!"
E'
una bellissima giornata di sole. Alla villa fervono i preparativi per
l'apertura di una casa-famiglia per bambini disagiati: Laura si
dirige nel salone dove il marito Carlos è intento a suonare il pianoforte.
Si siede accanto a lui e comincia a schiacciare le dita sui tasti. Al
suono di una deliziosa melodia arriva il piccolo Simòn con indosso
una curiosa tuta da supereroe: una "S" gigantesca campeggia
sulla pancia del bambino. Il piccolo chiede al padre di accompagnare
lui e la madre in spiaggia perché i suoi amichetti non si sono
ancora svegliati, vinti dalla stanchezza dopo la bisboccia della sera
precedente. L'uomo dice a Simòn di prendere la pillola: il bambino
allunga la manina sul pianoforte, dove afferra un grande bicchiere di
aranciata che butta giù insieme ad una pasticca. Dopo aver bevuto il
succo, il piccolo esclama festoso: «E' la "S" di Simòn!»
e con il ditino indica la lettera stampata sulla maglietta. Laura
tranquillizza il bambino dicendogli che il papà li avrebbe raggiunti
più tardi sulla spiaggia. Simòn corre di fretta e furia a
prepararsi.
La
caverna del pirata
Laura e Simòn percorrono il
grande viale sterrato che porta alla spiaggia: la madre racconta al
bambino di un pirata che nascose i suoi tesori in una caverna in riva
al mare. Giunti sulla spiaggia Simòn chiede alla madre il permesso
di visitare la caverna del pirata: armato di torcia il bambino
penetra nella grotta e dopo aver attraversato alcuni anfratti giunge
alla fine del cunicolo. D'un tratto Simòn si immobilizza: con la sua
torcia deve aver illuminato qualcosa che cattura la sua attenzione.
«Ciao!», esclama Simòn e l'eco della sua voce rimbomba nella
caverna silenziosa e spettrale. Intanto Laura, che è rimasta
all'esterno della grotta, inganna il tempo raccogliendo conchiglie:
dopo aver riempito il secchiello fino all'orlo, decide di entrare per
chiamare il bambino. Facendosi luce con la torcia, arriva alla fine
del cunicolo dove scorge Simòn intento a chiacchierare con qualcuno
che non riesce a vedere perché coperto da una parete rocciosa. «Vuoi
venire a giocare più tardi a casa mia? Ciao, ti aspetto» esclama il
piccolo Simòn mentre tende la manina in segno di saluto. Laura
chiede al bambino con chi stia parlando e quando Simòn gli dice che
non si tratta di Watson e Pelby ma di un altro amichetto, la donna va
a fare luce con la torcia dietro la parete rocciosa, per vedere se vi
fosse qualcuno per davvero. Non avendo trovato alcunché, Laura e
Simòn si dirigono fuori dalla caverna e poi lungo il sentiero
sterrato in compagnia del padre che nel frattempo li ha raggiunti.
«Perché butti via le conchiglie Simòn?» esclama il papà, non
riuscendo proprio a capire il motivo per cui il bambino sta svuotando
il secchiello. «Indico la strada al mio amichetto, così può venire
a giocare da noi, più tardi», risponde il piccolo intento a gettare
conchiglie sul sentiero. Papà e mamma non danno alcun peso a quelle
parole e continuano a parlottare tra di loro, mentre Simòn dietro di
loro cerca di tenere il passo seminando conchiglie, alla stregua di
molliche di pane.
L'arrivo
di Benigna Escobedo
Una pioggia torrenziale si
abbatte sulla villa. Laura, dopo aver sentito il rombo di un motore,
va ad affacciarsi alla finestra: un'automobile blu, con il tettuccio
grigio, si è fermata di fronte all'ingresso principale. Una donna (Montserrat Carulla),
che vediamo di spalle, bussa insistentemente alla porta: indossa una
giacca celestina e un foulard bianco che le fascia il capo. Laura va
ad aprire e si trova di fronte una signora anziana, con gli occhiali,
che dice di chiamarsi Benigna Escobedo e di essere un'assistente
sociale. Benigna si scusa per essersi presentata senza telefonare, ma
dice di non essere riuscita a trovare il numero. «Mi dispiace per il
suo viaggio a vuoto signora Escobedo, ma non avevo in programma
colloqui per oggi» esordisce Laura con fermezza. «Sono venuta per
parlare del piccolo Simòn», esclama senza mezzi termini la vecchia
signora. Il volto grazioso e disteso di Laura si contrae in una
piccola smorfia, poi fa accomodare Benigna in casa. Nel salone della
villa, una grande sala arredata in stile vittoriano, le due donne,
sedute l'una di fronte all'altra, cominciano a discutere della
casa-famiglia che Laura sta per inaugurare. Benigna forse nasconde un
segreto e lo si può intuire dalla sua immagine che si riflette nello
specchio rettangolare che campeggia sul caminetto. «Intendete
apportare molti cambiamenti alla villa?», domanda l'anziana
assistente sociale. Laura alza le spalle e prega Benigna di spiegarle
il vero motivo della sua visita. A quel punto Benigna le porge alcuni
fascicoli che ha tirato fuori da una cartellina azzurra: «Questo lo
sappiamo già da tempo», esordisce Laura mentre osserva con amarezza
i fogli che ha tra le mani. Benigna non si perde d'animo e comincia a
parlare di una cura sperimentale che potrebbe giovare alla salute del
bambino. «Simòn non sa nulla dell'adozione e della sua malattia,
perciò non voglio continuare a parlarne perché potrebbe sentirci.
Inoltre non ho alcuna intenzione di discutere di certe cose senza la
presenza di mio marito» sbotta Laura e in un nano secondo mette
Benigna alla porta. Finalmente sola, Laura riapre la cartellina
azzurra e legge ad alta voce le frasi "cambio di residenza"
e "portatore di sieropositività". Senza pensarci due
volte, corre in cucina per infilare la cartellina azzurra e il suo
contenuto in un cassetto che chiude opportunamente a chiave. Simòn è
in camera sua e sta colorando freneticamente alcune figure disegnate
a matita su un foglio bianco: Laura lo osserva, senza farsi vedere,
attraverso la porta semichiusa della sua cameretta, forse per
accertarsi che il bambino non si sia accorto dell'arrivo improvviso
della signora Escobedo.
Quella
notte uno strano rumore tormenta il sonno di Laura. Si rigira nel
letto nervosamente, poi si mette a sedere e tende l'orecchio: è un
suono metallico che si ripete a intervalli regolari e che sembra
provenire dal cortile. Dopo aver tentato senza successo di avvisare
il marito, Laura decide che è meglio scendere giù a controllare.
Infilata la veste da camera, si precipita nel giardino: è dal
capanno degli attrezzi che giunge quel rumore.
Possibile che qualcuno si sia introdotto lì dentro e a quale scopo? - sembra
pensare Laura mentre si avvicina lentamente a quel bugigattolo di
legno. «C' è qualcuno lì?» - esclama Laura timorosa e
all'improvviso il suono metallico s'interrompe. Si sente però la
vecchia porta del capanno che cigola sotto i cardini arrugginiti:
dopo averla spalancata ed essersi introdotta all'interno, Laura si
guarda intorno smarrita trovando soltanto mucchi polverosi di
cianfrusaglie accatastate. All'improvviso un vento gelido la fa
trasalire, si aggiusta bene la vestaglia, fa qualche timido passo in
avanti e in quel momento, nella semioscurità del capanno, una
vecchia con un arnese tra le mani le compare dietro le spalle. Laura
si gira all'improvviso dopo aver sentito un rumore e vede
distintamente Benigna Escobedo con lo sguardo spiritato e gli occhi
fuori dalle orbite raggomitolata in un angolo. «Che cosa ci fa lei
qui?» domanda Laura impietrita dalla paura. La vecchia non apre
bocca, si tira fuori dal suo nascondiglio, passa davanti a Laura e si
avvia verso l'uscita. Quando Laura esce dal capanno, fa appena in
tempo a vedere Benigna scomparire nella boscaglia, con la sua giacca
celestina, i capelli bianchi raccolti in uno chignon e la schiena
piegata sotto il peso dell'attrezzo che regge tra le mani. Laura si
precipita in camera da letto a svegliare il marito: tornano insieme
nel capanno, frugano in ogni angolo del giardino, ma di Benigna
Escobedo non c'è più nemmeno l'ombra. Volatilizzata come un
fantasma! «Vuoi spaccare la testa alla vecchiaccia con quel
bastone?» domanda Carlos divertito, mentre Laura sia aggira
guardinga nei pressi della casupola, le mani serrate intorno ad un
pezzo di legno. Carlos toglie il bastone dalle mani della moglie e
dopo averlo buttato via la stringe a sé e le sussurra dolcemente:
«Vai a dormire con Simòn. Se dovesse ritornare, chiamiamo la
polizia».
Commento
The
Orphanage,
diretto da Juan Antonio Bayona (The Impossible, 2012) nel 2007 e prodotto dall'inimitabile
Guillermo Del Toro (Mimic, 1997; La spina del diavolo, 2001; Il labirinto del fauno, 2006), è davvero un piccolo gioiello. I misteri
dell'orfanotrofio "Buon
Pastore"
si addensano davanti allo sguardo sbigottito dello spettatore fin dal
principio, fin dai titoli di testa: una manina piccola ed esile
strappa con decisione la carta da parati, rivelando un buco nero su
cui compare il nome del produttore. E' evidente che il mistero è
celato "sotto qualcosa" e il film lo suggerisce fin
dall'inizio. In una cornice gotica inquietante ed onirica (una
vecchia casa da ristrutturare, un parco enorme che circonda la
dimora, la spiaggia con la caverna del pirata e il faro invisibile
che veglia sui bambini che hanno paura del buio, il
sotterraneo/stanza segreta di un bimbo dimenticato e il capanno degli
attrezzi che custodisce un segreto) si muovono personaggi ancora più
sinistri come Benigna Escobedo, presunta assistente sociale con un
passato oscuro.Come Tomàs, bambino immaginario/fantasma intravisto per la prima volta da Simòn nella caverna del pirata che raccoglierà le conchiglie seminate dal ragazzino e le accumulerà davanti alla porta di casa. Come i piccoli ospiti dell'orfanotrofio di cui si sono perse le tracce molti anni prima e dei quali si continuano a sentire le voci nei meandri del "Buon Pastore". E poi c'è Laura, madre lacerata dalla scomparsa improvvisa e inspiegabile del figlioletto adorato, una madre che dovrà lottare con tutte le sue forze per scoprire una duplice verità sepolta sotto le travi della sua casa...Molteplici sono i misteri celati dall'orfanotrofio, proprio come le domande che alla fine del film restano senza risposta: come fa Simòn ad entrare nella stanza segreta di Tomàs senza il pomello della porta (che il bambino stesso nasconde in una scatola prima di sparire)? Dove ha trovato il pomello della porta? E' evidente che per entrare (come farà Laura alla fine del film) è necessario strappare la carta da parati e inserire il pomello, ma la porta segreta viene trovata con la carta da parati intatta...E' possibile che Simòn, in una delle numerose esplorazioni della casa (che il bambino dimostra di conoscere come le sue tasche durante il gioco della caccia al tesoro), sia riuscito a trovare un altro ingresso? Difficile trovare una soluzione, forse Bayona e lo sceneggiatore Sergio G. Sànchez hanno voluto lasciare di proposito un alone di mistero sul "Buon Pastore".
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